Numismatica sannitica

Prima della guerra sociale gli stati del Sannio non coniarono né emisero moneta. In realtà alcune città sannite emisero moneta ma lo fecero quando ormai non facevano più parte del Sannio in quanto vinte e sottomesse da Roma. Così Allifae e Fistelia nel IV sec. a.C. coniarono monete d'argento, mentre nel III sec. a.C. Aquilonia, Cubulteria e forse Venafrum, Caiatia e Telesia ne coniarono di bronzo. Le scritte sulle monete di Allifae e Fistelia sono più spesso greche che osche, e ciò è sufficiente a dimostrare la loro provenienza dalla Campania più che dal Sannio. Evidentemente le monete venivano usate nel commercio con la Campania e quindi dovevano circolare in tale regione, e non negli altipiani del Sannio. Le monete di Cubulteria recano incisioni simili a quelle di Napoli e addirittura lo stesso marchio della zecca che compare anche su monete di Aesernia, Cales, Suessa Aurunca e Teanum Sidicinum; questo lascia supporre che le città che erano state sannite dovevano aver formato, con il consenso se non addirittura con l'incoraggiamento dei Romani, una salda lega monetaria con le città immediatamente a ovest del Sannio.

Quando scoppiò la guerra sociale(91-87 a.C.), gli alleati di Roma insorti coniarono le loro monete; alcune di esse recavano iscrizioni latine, altre osche, altre erano un ibrido tra latino e osco. Sul rovescio di alcune monete erano raffigurati dei guerrieri in atto di prestare giuramento di lealtà su un maialino sacrificale. Tale scena aveva valore di propaganda politica: la raffigurazione di popoli diversi in atto di stringere un patto comune poteva aiutare a sottolineare l'aspetto federativo del movimento degli insorti. Tali monete recavano il nome Italia (latino) o Vitelio (osco), invece di Roma, ovviamente per sottolineare il contrasto tra la natura federale della loro organizzazione e la dominazione esercitata da Roma. Un altro aspetto propagandistico riguarda alcuni esemplari di monete in cui è raffigurato un toro italico (sannita?) nell'atto di incornare o calpestare una lupa romana.

Tutte queste monete appartenevano alla federazione degli Italici e non devono quindi essere intese come puramente sannite; le uniche monete sannite dovettero essere emesse solo negli anni 89-87 a.C. quando, dopo il crollo di tutti gli Italici insorti, i Sanniti erano praticamente rimasti da soli a combattere contro Roma. Tra tali monete è da inquadrare sicuramente una in osco che reca orgogliosamente la scritta Safinim (l'equivalente osco di Samnium). Comunque, la generale scarsità di monete ritrovate in tutta l'area sannitica fa pensare che i Sanniti, nei loro scambi commerciali, dovessero usare massicciamente un sistema di baratto o forse dei lingotti. Questo non desta perplessità se si pensa che Cartagine, uno dei grandi stati commerciali dell'antichità, fece per lungo tempo un uso molto ristretto di monete, e i Romani non cominciarono ad emetterne se non dopo il 300 a.C.

Per tutto il III secolo a.C. non conosciamo altra emissione della comunità dei Sanniti Pentri, ad eccezione di una discussa serie in bronzo con legenda in osco Akudunniad, interpretata come Aquilonia. Di centri chiamati Aquilonia in area sannitica la tradizione letteraria ne tramanda due: uno in Irpinia, l'odierna Lacedonia, l'altro nella regione dei Pentri riconosciuto da più studiosi nell'abitato rinvenuto a Monte Vairano. Le monete di Aquilonia hanno al dritto una testa di Atena con elmo corinzio e al rovescio un guerriero in piedi con la patera nella mano, in atto di svolgere un sacrificio.

La testa di Atena con capelli raccolti sulla nuca e con lo stesso tipo di elmo crestato ricorre di frequente sulle monetazioni della prima metà del III secolo delle colonie latine o dei centri alleati di Roma (Alba Fucens, Aquino, Telesia, Venafro, Cales, Suessa, Teano, Caiatia, e sul versante orientale Larino, Azetium, Butuntum, Caelia, Teate, Venusia, Luceria), più originale l'immagine del guerriero. E su di essa, infatti, si è fermata l'attenzione dei numismatici del secolo scorso che hanno proposto di riconoscere nel soldato uno dei militi della celebre legio linteata, composta da truppe scelte della mobilitazione generale seguita alla sconfitta di Sentino che fece confluire ad Aquilonia pentra quarantamila armati per ricomporre l'esercito: da ciò scaturisce l'ipotesi (a mio parere assai improbabile) che sia un'emissione prodotta nel 293, in occasione della raccolta degli eserciti. Difficilmente la moneta si ricollega alle vicende della narrazione liviana; tra l'altro per il tipo del diritto e per il peso i bronzi di Aquilonia si collocano intorno al secondo venticinquennio del III secolo a.C. e si inquadrano, dunque, in orbita romana ne più ne meno di quelli delle colonie latine, prodotti da una comunità ormai totalmente ridotta all'alleanza (ipotesi questa già ventilata dal Salmon).

Adriano La Regina ritiene invece che Aquilonia possa aver coniato moneta esclusivamente per motivi di mero prestigio a imitazione delle città campane in virtù del suo ruolo di capitale dello Stato sannitico, posizione che la città avrebbe assunta nei primi anni del III secolo a.C., prima che il capoluogo politico, sede del senato, divenisse Bovianum la cui ripresa fu favorita dalla realizzazione della strada di collegamento tra le due colonie di Beneventum e di Aesernia. Resterebbe da chiedersi, se così fosse, come mai in un touto come quello pentro, si ritrovi una moneta con il nome di un singolo centro. I bronzi di Aquilonia presentano le medesime caratteristiche di altre due comunità sannitiche alleate di Roma, quella dei Frentani e di una serie di Larino con la legenda osca, emesse anch'esse nel secondo venticinquennio del III secolo a.C. Dunque essi si inseriscono meglio, a mio parere, tra le emissioni dei centri sanniti sottomessi a Roma: Aquilonia può aver coniato allo stesso titolo di comunità come Caiatia Venafro e Telesia (che peraltro ebbero gli stessi tipi dei bronzi di Teano, Cales, Suessa : testa di Atena con elmo corinzio/Gallo).

Si tratta di centri separati dal Sannio negli anni dopo Sentino, ubicati nella fascia nord-occidentale della regione pentra, in quell'area definita dal Salmon una zona cuscinetto tra il territorio romano e quello sannita. Una collocazione di Aquilonia in tale zona, come ha proposto Capini (e non a Monte Vairano), non sarebbe in contrasto con il quadro che emerge dall'evidenza numismatica. I bronzi di Aquilonia ebbero una circolazione locale, ne sono noti esemplari da Agnone e da Carife, e lo stesso peso di quelli delle città campane (circa 6-7 grammi). Essi presentano le medesime caratteristiche delle monetazioni di altre due comunità sannite, quella dei Frentani e di una serie di Larino con la legenda osca, emesse anch'esse nei decenni centrali del III secolo a.C. Sono elementi che lasciano intuire per queste emissioni sannitiche in bronzo la stessa funzione: si tratta di nominali di basso valore, mezzo di uno scambio limitato sostanzialmente all'area geografica di appartenenza. I Sanniti Pentri, se anche Aquilonia emise moneta quando era ormai una delle città controllate da Roma, non ebbero una produzione monetale autonoma.

Passando all'altro campo di indagine, quello della presenza di moneta "estera" nel Sannio, riscontriamo una conferma a quanto emerge dai dati relativi alla produzione monetale: la data iniziale di arrivo nel Sannio di un cospicuo quantitativo di moneta non risale oltre i decenni intorno alla metà del III secolo a.C.

La presenza di moneta "estera " di IV secolo non sembra particolarmente significativa: in molti casi sono esemplari ancora in circolazione nel III secolo a.C., rinvenuti per lo più in contesti votivi (nel santuario della Mefite nella valle di Ansanto, a Pietrabbondante, a Campochiaro, a Campo Laurelli) e anche il tesoretto ritrovato a Morcone e quello di Benevento, che pure contiene monete del IV a.C., forse sono stati seppelliti in quegli anni.

I rinvenimenti monetari si infittiscono piuttosto nel secondo quarto del III secolo a.C.: predominano (come del resto in tutta l'Italia centro-meridionale) le monete di Neapolis e dei centri campani, attestate a Pietrabbondante, a Isernia, S. Giovanni in Galdo, Campochiaro, Monte Vairano. La presenza di moneta napoletana e dei centri campani deve essere stata motivo di stimolo per le emissioni dei Frentani, di Larino, di Aquilonia che furono però, come si è visto, assai limitate proprio per la natura degli scambi che si svolgevano in territorio sannita.

Altre emissioni di pieno III secolo documentate in Sannio sono quelle delle zecche apule di Arpi, Luceria, Salapia e Teate, di Paestum, di zecche siciliane, come Siracusa e Messana: pochi esemplari per ciascuno dei centri citati, la cui presenza è piuttosto comune nei depositi votivi dei santuari italici. Nella seconda metà del III secolo a.C. il ruolo in precedenza svolto dalla moneta napoletana fu assunto da quella di Roma, che andò sostituendosi dappertutto alle superstiti coniazioni autonome.

Le prime monete romane giunte nel Sannio sono le cd. romano-campane del tesoretto di Benevento e quelle di Campochiaro, i bronzi fusi di Gildone, i bronzi coniati e fusi rinvenuti a Pietrabbondante, a Carife, ad Isernia, in area irpina nel santuario della valle di Ansanto.Più articolato e differenziato il quadro delle presenze monetali di II secolo a.C.: le monete di Roma (denari e vittoriati in argento e moneta divisionale in bronzo) divenute l'unico consistente mezzo monetario circolante in tutta la penisola, sono ovviamente presenti anche nel Sannio.

Ma accanto ad esse, sporadici ritrovamenti di moneta straniera attestano contatti con l'esterno, da una parte con l'altra sponda dell'Adriatico e oltre, dall'altra con la Spagna meridionale. Paradigmatica, in questo senso, la documentazione di Monte Vairano, ben illustrata da G. De Benedittis. Qui sono state ritrovate due monete di Pharos, centro situato sulla costa slava, una di Apollonia, città greca nell'attuale Albania, una della lega epirota, una di Taso, isola dell'Egeo, un bronzetto di Ebusus, l'odierna Ibiza. Quest'ultima monetina non è isolata nel Sannio, altre sono state trovate a Pietrabbondante e a Campochiaro; ma l'area nella quale esse sono maggiormente attestate è quella della Campania meridionale, tra Pompei e Sorrento.

La presenza di moneta straniera si ricollega ai traffici che si svolsero in tutto il Mediterraneo dopo la seconda guerra punica ad opera dei negotiatores italici, famiglie emergenti soprattutto della Campania costiera e di Capua, ma a quanto pare anche del Sannio, i cui nomi sono attestati peraltro tra quelli dei residenti a Delo, l'isola greca al centro dei commerci mediterranei. In questo senso le poche monete straniere che documentano lo spostamento di uomini nelle due direttrici di traffico indicate, tra Occidente e Oriente, insieme con la cospicua presenza di anfore rodie e quella meno abbondante di ceramica iberica e di anfore puniche, possono considerarsi una traccia dei flussi commerciali che investirono pur se parzialmente la regione pentra causando certamente anche qui delle forti differenziazioni nell'ambito del corpo sociale. Più volte è stato segnalato che sappiamo troppo poco della realtà economica nel II secolo di questa regione, ancora vincolata a modi di produzione sostanzialmente di tipo agro-pastorale; certo però la mancanza di emissioni monetali proprie non può essere considerata come prova dell'assenza di forze economiche in grado di inserirsi in un mercato più vasto di quello locale. I traffici internazionali non presuppongono necessariamente l'uso di moneta prodotta dalle comunità interessate e meno che mai in quest'epoca quando le uniche monete di un certo valore circolanti nella penisola furono quelle romane, essendo state interrotte fin dalla seconda metà del III secolo a.C. le superstiti emissioni in argento delle città magno-greche.

Molti altri indizi di natura letteraria e epigrafica mostrano invece come dalla prima guerra punica, e soprattutto dopo la guerra annibalica, in Sannio si verificarono situazioni di accumulo di notevoli ricchezze da parte di esponenti delle gentes locali: è il caso dei Decitii, degli Staii, degli Egnatii, membri di aristocrazie arricchitesi per lo sviluppo delle attività produttive tradizionali collegate al bestiame e alla vendita di prodotti dell'allevamento e dell'agricoltura. Il formarsi di elites sannitiche legate da rapporti clientelari a importanti famiglie romane, attive nei commerci regionali, ma anche presenti nella rete dei traffici internazionali, lo sviluppo del latifondo e del lavoro servile, l'acuirsi di una situazione sempre più precaria delle fasce economicamente più depresse generarono la crisi sfociata poi all'inizio del secolo successivo nella guerra sociale.

Il conflitto, al quale parteciparono i Sanniti accanto agli altri popoli italici, scoppiò per la richiesta di ottenere la cittadinanza romana, che significava condividere i vantaggi dell'alleanza con Roma e non solo sostenerne il peso. In questa occasione gli Italici insorti coniarono una gran quantitativo di moneta in argento, non - come pure è stato suggerito - per affermare le loro capacità commerciali in contrapposizione a quelle romane, ma per finanziare le enormi spese di guerra. Le monete del "Bellum Sociale" sono denari in argento, cioè il nominale tipico di Roma comunemente utilizzato in gran parte della penisola, ma presentano la legenda "ITALIA" in latino o "VITELIV" in osco e riproducono, ad eccezione di una prima serie che è del tutto simile ai denari di Roma, immagini fortemente propagandistiche, esaltanti l'accordo raggiunto tra i vari popoli o la virtus degli Italici: esempio eloquente dei due temi sono la raffigurazione della scena del giuramento che consolida l'alleanza tra i rappresentanti degli otto popoli insorti ed il toro sannita che sconfigge la lupa romana. Tra i denari della guerra sociale una serie emessa da C. Papio Mutilo - il valoroso generale sannita, unico tra i confederati ad assumere il titolo di imperatore ("embradur" in osco) dopo le vittorie del 90 a.C. - presenta al posto del nome ITALIA comprensivo di tutte le genti, il nome Safinim (= Sannio). Questa serie, datata agli anni 89-88 a.C. quando lo sforzo economico e militare gravò soprattutto sul Sannio, raffigura un guerriero (per La Regina da identificare con Comio Castronio, il condottiero fondatore tra il V e IV secolo a.C. del touto Safinim ) che schiaccia sotto il piede forse le spoglie della lupa romana, accanto a lui riposa il toro sannita. La moneta rappresenta l'ultima orgogliosa affermazione da parte dei Sanniti della loro autonomia politica da Roma.